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Congresso SINuC: cattiva alimentazione causa oltre 97mila morti l’anno

Dieta Mediterranea patrimonio anche nella nutrizione clinica

La scienza ha ormai da tempo dimostrato l’importanza cruciale dell’alimentazione per il nostro stato di salute e benessere, e questo principio vale ancora di più quando l’organismo si trova in una situazione non ottimale. In presenza di una patologia l’attenzione alla nutrizione diventa un imperativo categorico. Riconosciuta dall’UNESCO nel 2010 come uno dei patrimoni immateriali dell’umanità, la Dieta Mediterranea è uno degli argomenti cardine del 5° Congresso Nazionale della SINuC-Società Italiana di Nutrizione Clinica e metabolismo, in corso a Lecce (www.sinuc2022.it). “La Mediterranea è nota in tutto il mondo: caratterizzata da un alto consumo di cibi vegetali, una moderata assunzione di olio d’oliva e vino rosso e un limitato apporto di carni, latticini e grassi saturi. Questa combinazione di elementi, frutto di una cultura alimentare sviluppatasi nei millenni in alcuni paesi mediterranei come Italia, Grecia e Spagna, si è dimostrata scientificamente molto valida nel combattere stress ossidativo e infiammazione”, sottolinea il Professor Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC, “e la Puglia ne è tra le rappresentanti più prestigiose”.

Le conclusioni dello studio pubblicato sulla rivista The Lancet a cui hanno contribuito oltre 130 scienziati di quasi 40 Paesi del mondo sono eclatanti: a livello globale una morte su 5 sarebbe riconducibile a un’alimentazione scorretta, povera di cibi sani come i cereali integrali e i vegetali, e ricca di ingredienti pericolosi come il sale e le bevande zuccherate. L’alimentazione scorretta è responsabile del 22% delle morti registrate fra gli adulti ed è complessivamente responsabile di 255 milioni di anni persi per morte prematura evitabile o vissuti con disabilità. Tra i 20 Paesi più popolosi del pianeta, l’Egitto ha riportato il più alto tasso di decessi legati all’alimentazione e il numero maggiore di disabilità, mentre all’estremo opposto c’è il Giappone. L’Italia è decima in classifica con un tasso di morte di 107,7 per 100mila individui e 97.821 decessi in un anno attribuibili alla cattiva alimentazione. Le cause? Scarso consumo di cereali integrali, cui sono attribuibili oltre 30 mila morti l’anno, seguito da eccessivo consumo di sale (oltre 18 mila morti), scarso consumo di semi e frutta secca (oltre 16 mila), scarso consumo di acidi grassi Omega-3 (circa 12 mila) e di frutta (oltre 11 mila).

“Orientare il più possibile la propria alimentazione verso cibi vegetali, integrali e non processati, il più possibile freschi e locali rappresenta un investimento a lungo termine” spiega il Dottor Piero Caroli, Presidente del congresso e Responsabile dell’U.O. di Dietetica e Nutrizione Clinica – Ospedale Vito Fazzi di Lecce che ha presentato una relazione sulla Dieta Mediterranea: “Costituisce un modello nutrizionale arricchito da diverse culture, che per millenni ha mantenuto le stesse strutture e proporzioni di alimenti. Inoltre favorisce la sostenibilità dell’ambiente rurale e riproduce sistemi di simbolizzazione”.

Una alimentazione corretta è direttamente correlata con la longevità, in particolare con la lunghezza dei ‘telomeri’ le parti terminali dei cromosomi, la cui lunghezza é proporzionale alla durata della vita. Un importante ruolo di protezione viene svolto dalle fibre presenti nei vegetali. Uno studio del 2018 tratto dal National Health And Nutrition Examination Survey (NHANES) sul DNA di 5674 adulti statunitensi, di cui si è misurato il consumo giornaliero di fibre. Ha dimostrato che per ogni grammo di fibre in più per 1000 kilocalorie, i telomeri risultavano più lunghi di 8,3 coppie di basi, pari a a 5,4 anni di invecchiamento cellulare in meno. Non a caso due delle cinque Zone Blu del mondo, caratterizzate dalla più alta concentrazione di centenari, si trovano proprio nel bacino del Mediterraneo: Sardegna, in Italia, e Ikaria, in Grecia.

Fonte: askanews.it

Ortopedici SIOT: “Fondamentale la diagnosi precoce”

Nel nostro Paese le fratture da fragilità colpiscono 1 donna su tre e 1 uomo su cinque tra gli over 50enni e, sebbene siano più frequenti tra le persone anziane, si stima che il 20% delle fratture avvenga in età di prepensionamento, come attestano le recenti Linee Guida “Diagnosi, stratificazione del rischio e continuità assistenziale delle Fratture da Fragilità” dell’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con SIOT e altre Società scientifiche.

In occasione della Giornata Mondiale dell’Osteoporosi, la Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, SIOT ribadisce l’importanza della diagnosi precoce per il trattamento dell’osteoporosi e raccomanda visite specialistiche alle donne over 50 e agli uomini dai 65 anni in su per valutare lo stato della propria salute ossea e prevenire la comparsa di fratture.

Come emerge nelle Linee Guida, è stato stimato che le fratture da fragilità siano responsabili di più di 9 milioni di fratture ogni anno in tutto il mondo. Nel 2017, sempre secondo i dati, sono state stimate a livello mondiale 2,7 milioni di nuove fratture da fragilità, equivalenti a 7.332 fratture al giorno, 305 all’ora. Nelle donne si è verificato quasi il doppio delle fratture (66%) e, in generale, le fratture del femore prossimale (collo del femore), delle vertebre e del polso/omero prossimale (spalla) hanno rappresentato rispettivamente il 19,6%, 15,5% e 17,9% di tutte le fratture.

“L’identificazione della fragilità scheletrica – spiega Alberto Momoli, Presidente SIOT e Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia Ospedale San Bortolo, Vicenza – è fondamentale per identificare il rischio di frattura del soggetto e applicare interventi terapeutici mirati e prevenire il peggioramento del quadro clinico. Per una valutazione del rischio di fragilità è fondamentale un’accurata anamnesi del paziente utile a identificare ulteriori fattori compromettenti la salute delle ossa: terapie farmacologiche o ulteriori patologie, possono compromettere la resistenza scheletrica peggiorando la fragilità dell’osso con inevitabile aumento del rischio di frattura”. Se la protezione della salute delle ossa inizia sin dall’infanzia con una corretta alimentazione, ricca di calcio e vitamina D e uno stile di vita attivo che comprenda un’adeguata attività fisica, le stesse indicazioni valgono anche da adulti: mantenere una buona densità ossea e prevenire il rischio di fratture soprattutto nell’età considerata più a rischio, in menopausa e post menopausa per le donne e senile per gli uomini. In tarda età un giusto movimento, uno sport aerobico leggero e un allenamento propriocettivo, insieme ad una corretta alimentazione possono intervenire a beneficio della perdita di forza muscolare, ridotta coordinazione dei movimenti e inevitabile rischio di caduta. In Italia, secondo le Linee Guida si stima che la prevalenza dei soggetti con osteoporosi ultra 50enni corrisponda al 23,1% nelle donne – il cui numero è aumentato del 14.3% dal 2010 al 2020 – e al 7,0% negli uomini. “Una corretta valutazione della fragilità ossea attraverso specifici esami del sangue e la mineralometria ossea computerizzata, MOC – prosegue Alberto Momoli – permette quindi di identificare precocemente i soggetti ad alto rischio di sviluppare esiti negativi, consentendo l’implementazione tempestiva di contromisure preventive/terapeutiche. Inoltre, ci sono diverse condizioni, come quelle infiammatorie o il trattamento con farmaci glucocorticoidi, che risultano essere molto importanti nella valutazione della fragilità ossea, in quanto riducono la forza ossea e aumentano il rischio di frattura. Riguardo al trattamento, esistono diverse opzioni terapeutiche efficaci che possono variare a seconda della gravità del caso, dei fattori di rischio e della presenza di altre patologie. È importante rivolgersi sempre a uno specialista, che saprà indicare il trattamento più adatto per ogni singolo individuo”.


Fonte: askanews.it

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